Neon Genesis Evangelion, Etica delle relazioni e struttura del mito a cura di Aldo Pisano.
Etica e struttura delle relazioni in Neon Genesis Evangelion | Parte 4
Una battaglia è in atto in Evangelion, quella tra uomini e dei, un’idea che rinvia a una mitologia delle origini: il prodotto umano che tenta di imitare i processi messi in atto dalla natura, e lo fa attraverso quel potere tutto umano che è la conoscenza, quel potere che rende gli uomini simili agli dei. Ma questo l’ideatore della serie lo mette nero su bianco, a conclusione dell’undicesimo episodio, infatti, Shinji nuovamente si pone delle domande che tentano di scavare più a fondo, che tentano di spiegare quell’esperienza in cui egli si trova catapultato, mettendosi su un percorso di ricerca di senso. A differenza della prima volta in cui si auto-interroga, qui Shinji è in presenza di altri, quindi la sua interrogazione non può passare inosservata o auto-esaurirsi in un pensiero fugace. La verbalizzazione della domanda di senso, in presenza dell’altro, impone un permanere della domanda stessa, un insinuarsi irrimediabile nei meandri della mente. In questo caso, la riflessione parte da un atto di osservazione e di meraviglia, di thàumzein: il protagonista, non a caso, sta osservando le stelle[1]. Da qui l’accavallarsi di riflessioni squisitamente filosofiche: la bellezza dell’universo, la presenza dell’uomo, la paura dell’ignoto. «L’uomo teme l’oscurità» osserva Shinji e per tenere testa a ciò «usa il fuoco».
Ecco che ritornala mitologia prometeica, il rapporto fra l’ignoto e il noto, l’idea che la tecnica e la conoscenza possano essere gli strumenti per fronteggiare ciò che è sconosciuto. Tutto questo si mette in moto nell’undicesimo episodio, infatti qui viene fortemente messo in luce il rapporto uomo-tecnica: il significato dell’episodio è esposto in un dialogo fra due personaggi all’inizio della puntata, il primo dei quali afferma: «Questa è davvero la città della scienza. Siamo proprio nell’era dell’onnipotenza scientifica» e la contro-risposta è: «Che frase antiquata!». Di lì a poco, infatti, ha origine il black-out che costringe l’intera città al buio, che rappresenta una sorta di messa in discussione di questa emblematica affermazione di inizio episodio. Infatti, il black-out – come chiaramente nota il comandante Ikari – è “intenzionale”, dunque non può che essere causato da un’azione umana.
Proprio sul concetto d’intenzionalità si gioca un’altra differenza fondamentale tra uomo e macchina. Dopo tutte le epiche lotte con gli angeli a cui si è assistito, il danno più grave è stato causato dall’uomo: «Alla fine il nemico dell’uomo è lo stesso uomo» afferma il comandante Ikari, per questo toccherà all’uomo stesso porre rimedio al danno provocato. Nella iper-tecnologica NERV sono tutti così assuefatti dalla dipendenza dalla tecnica, che nessuno è capace di evadere questa dipendenza, da questa cecità, per capire come attivare gli Eva in assenza di elettricità, con la minaccia di un nuovo angelo che incombe sulla città; quando gli viene posta la domanda su come attivare gli Eva, il comandante Ikari risponde con fermezza: «Usando la mano dell’uomo».
Questo rapporto uomo-macchina fa emergere il limite intrinseco allo stesso prodotto tecnico, che vive di un pensiero calcolante, di un pensiero computazionale che opera in maniera automatica secondo un codice binario 0-1. Come poter sopperire a questo limite? La risposta è l’uomo. L’uomo vive di una capacità ben più articolata e complessa, che supera la rigidità e l’automatismo della macchina. Tale attività si muove in una vasta gamma di possibilità e di scelte, per cui rende realistiche alcune situazioni determinanti, che la macchina non sarebbe in grado di valutare o portare a termine. La macchina è un pensiero calcolante, l’uomo è un pensiero valutante. Ciò che contraddistingue l’Eva è la presenza di un pilota umano, di un pilota capace di scelta, deliberazione, di phronesis [2], di un saper agire che è legato al contesto, che sa muoversi senza dover agire in senso assolutamente deontologico.
In questo caso, anche le emozioni giocano un ruolo fondamentale, poiché permettono di ri-orientare l’agire in maniera diversa, valutando, appunto, e non semplicemente calcolando, operando una sorta di “cernita” [3] delle possibili conseguenze dell’agire, così da evitare la paralisi dell’agente morale. Di queste capacità pratiche dà prova la signorina Misato Katsuragi, altro personaggio chiave nella serie, addetta alle strategie belliche della NERV.
Continua…
- «Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia [thaumazon] riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica» [Aristotele, Metafisica, (2000)a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2008 (7a ed.), p. 11].
- «È anche giusto denominare la filosofia scienza della verità, perché il fine della scienza teoretica è la verità, mentre il fine della pratica è l’azione. (Infatti, coloro che hanno per fine l’azione, anche se osservano come stanno le cose, non tendono alla conoscenza di ciò che è eterno ma solo di ciò che è relativo ad una determinata circostanza e in un determinato momento)». [Aristotele, Metafisica… op. cit., p. 73].
- Cfr. A., R., Damasio, (1994) L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 1995.