Focus NGE | Etica delle relazioni e struttura del mito – 9

Neon Genesis Evangelion, Etica delle relazioni e struttura del mito a cura di Aldo Pisano. Etica e struttura delle relazioni in Neon Genesis Evangelion | Parte 7

(II) le relazioni parentali[1] sono un’altra forma essenziale dei rapporti in Neon Genesis Evangelion, attraverso queste, infatti, si profila il carattere dei personaggi, in funzione dei rapporti con la figura materna e la figura paterna.

È chiaro che una trattazione simile, come già si accennava, chiama in causa la questione psicoanalitica, per questo ci si limiterà a tratteggiare tali sistemi relazionali, con delle citazioni che potrebbero essere oggetto di un eventuale approfondimento, che non può aver luogo in questa sede. In quasi tutti i personaggi vengono messe a nudo le relazioni con le figure genitoriali: Shinji e il padre, la signorina Misato e il padre, la dottoressa Ritsuko Akagi e la madre. Sicuramente, però, quello sui cui potersi principalmente focalizzare è la complessa relazione padre-figlio che emerge nel rapporto fra Shinji e il comandante Ikari (Fig. 7). In questo caso la forma della relazione è conflittuale, la personalità di Shinji risente fortemente di una quasi assente e altamente oscura figura paterna.

fig. 7

Il protagonista si mette in gioco, rischia la vita, pilota l’Eva, combatte contro le divinità/angeli per ottenere un briciolo di consenso dal padre, manifestando una intrinseca contraddizione: è introverso, non ha relazioni con gli altri, eppure necessita del consenso del padre. Questo conflitto con la figura paterna risulterà essere fondamentale: spronerà Shinji ad entrare in quel sistema di relazioni reale, attraverso l’esperienza dell’Eva (dal quale sviluppa anche un senso di dipendenza), sino a giungere al momento decisivo del confronto con se stesso in cui non potrà negare la necessità della presenza dell’altro. Ora, il problema della conflittualità sorge in relazione al processo di costruzione dell’ordine simbolico che il figlio o la figlia, nella visione lacaniana, devono condurre e portare avanti grazie al Nome-del-Padre. La figura paterna sottrare i figli al legame biologico con la madre, inserendoli nell’ordine del simbolico, del culturale, della tradizione e lo fa mediante la sua immagine. Per questo è fondamentale che il Padre realizzi la sua funzione, altrimenti il verificarsi della forclusione che «lascia vuoto il posto che, nella formula della metafora paterna, dovrebbe essere occupato dal Nome-del-Padre e impedisce lo scambio con quello del desiderio materno […]. Il risultato è il fallimento della metafora paterna»[2].  Ora, seppure in Lacan avviene una ristrutturazione del complesso edipico freudiano, nulla toglie che in entrambe le visioni il padre svolga una funzione simbolica fondamentale:

La figura paterna, pur vivendo un’evidente crisi del suo status, si contraddistingue per una posizione complessa di natura ambigua che oscilla tra condizione concreta e astrazione simbolica, dimensione intrapsichica e fenomeno intersoggettivo, sistema familiare e mondo sociale, e può esprimersi secondo diversi modi di intenderla (si tratta di tipologie paterne parziali e incomplete). Si va dal Padre biologico, colui che genera il figlio al Padre sociale, colui che riconosce il figlio davanti alla legge assumendosene la responsabilità, come ad esempio un padre adottivo; dal Padre rigoroso e severo, colui che proscrive quello che non si deve fare nella vita, interiorizzato nel figlio dal Super Io al Padre ideale e idealizzato, colui che prescrive quello che si dovrebbe essere, interiorizzato nel figlio dall’ideale dell’Io; dal Padre castratore, colui che ha sia una valenza negativa quando mette in pericolo l’incolumità psicofisica e la vita dei figli e sia una valenza positiva quando li sottrae dall’incesto, riducendo il predominio della figura materna e preparando il terreno per l’altro e la legge; al Padre affettuoso: colui che ama il figlio, un padre materno, che può prendersi cura teneramente di lui con le modalità che abbiamo detto; al Padre amante: compagno sessuale e affettivo della madre, necessario per un’equilibrata circolazione degli investimenti emotivi in famiglia; al Padre seduttore, colui che alimenta il desiderio, stimola la progettualità lavorativa e affettiva, spinge ad essere ambiziosi nella vita; e infine al Padre spirituale, il quale fornisce gli strumenti che permettono al figlio di passare dal fantasma al simbolo, in altri termini da una forma di pensiero basata sulle emozioni ad una configurazione dell’intelletto fondato sul ragionamento critico e astratto[3].

Dunque, è chiaro che questa oscillazione fra una funzione simbolica e una personale è fondamentale per la costruzione dell’io, in quanto entità inserita in un contesto relazionale più ampio di quello familiare. Non a caso, ritornando brevemente su Benveniste, l’analisi etimologica condotta sul termine “padre” rinvia a una duplice accezione, data l’esistenza di due lemmi residui che indicano la figura paterna: “atta” e “pater”. Secondo Benveniste, questo doppio utilizzo di un significante rinvia a un duplice significato del “padre”. Nel caso di “pater” (la cui origine non è definibile, ma si mantiene in molte lingue di derivazione indoeuropea tra cui latino, greco e gotico) si fa riferimento a una relazione di tipo simbolico-universale che si riferisce ad un dio-padre mitologico[4]; nel caso di “atta”, invece, ci si riferisce al «“padre che nutre”, colui che alleva il bambino»[5]. Ora, in quest’ultima accezione si riscontrano derivazioni linguistiche diacroniche del tipo “tata”, da cui dovrebbe derivare a sua volta l’italiano “papà” o l’anglosassone “dad”: questa modalità espressiva con cui ci si rivolge al padre è tendenzialmente informale, richiamandone quindi la funzione relazionale diretta padre-figlio. Così, questa accezione definisce un rapporto di carattere intimo, biologico, diretto sin anche emotivo. Diversamente, “pater” assume nel tempo una funzione sempre più simbolica, riferita anche a una normatività di carattere giuridico, o a un dio nell’ambito religioso. Infatti, come analizza Benveniste “pater” è «la qualifica permanente del dio supremo degli Indoeuropei. Figura al vocativo nel nome divino di Jupiter [Ju-piter: Ju + piter (assonante con “pater)]: la forma latina Jūpiter è nata da una formula di invocazione: *dyeu pater ‘Cielo padre!’, che corrisponde esattamente al vocativo gr. Zeû páter»[6]. Dunque, anche l’analisi etimologica mostra la valenza simbolica del padre, riferita alla divinità[7], alla legge e, psicanaliticamente, ad una figura nomotetica fondamentale per la costruzione dell’istanza psichica dello über-Ich. Qui, in sostanza, “pater” indica il Nome-del-Padre; qui, si intrecciano psicoanalisi e mitologia, in un rapporto che si analizzerà più avanti, riportando la discussione relativa ad Evangelion sul terreno del mito.

Continua…


[1] Per un eventuale riferimento etimologico sulle relazioni parentali, interessante è l’analisi condotta sempre da Benveniste, nello specifico: Cfr. E., Benveniste (1969), Il vocabolario della parentela, in Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee. Economia, parentela, Società, Vol. 1, Einaudi, Torino 2001, pp. 157-211.

[2] F. Palombi, (2009) op. cit., p. 82.

[3] S., Lussana, Voce:Padre/immagine paterna, in Spipedia. Enciclopedia della psicoanalisi, 26 Giugno 2016. Disponibile on-line all’indirizzo: https://www.spiweb.it/spipedia/padreimmagine-paterna/

[4] Cfr. E., Benveniste (1969), Il vocabolario … op. cit., p. 163.

[5] Ibidem.

[6] Ivi, p. 162.

[7] S., Freud, (1913) Totem und Tabu: Einige Übereinstimmungen im Seelenleben der Wilden und der Neurotiker, tr. it. Totem e tabù. Alcune concordanze sulla vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, in S., Freud, Totem e tabù. L’avvenire di un’illusione. L’uomo Mosè e altri scritti sulla religione, a cura di Alberto Luchetti, Fabbri, Milano 2014, pp. 19-224

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